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Dalla redazione
lunedì 6 febbraio 2017

L’Amarone attraverso la storia: Vigneti di Jago dal 2010 al 1997

La verticale, offerta da Domini Veneti alla redazione di Ais Verona, è stata di ispirazione per rileggere la storia della Valpolicella attraverso il suo vino più importante.

Fabio Poli


Potremmo partire da lontano parlando di Plinio il Vecchio che, nella sua Naturalis Historia, afferma che, ancor prima dell’arrivo dei Romani, i Reti delle Alpi centrali già appassivano le uve. Cinque secoli dopo Cassiodoro testimoniava che il re dei Visigoti Teodorico apprezzava l’Acinatico, definito "mosto invernale, freddo sangue delle uve": era il primo antenato del nostro Amarone della Valpolicella.

Invece parleremo con più modestia degli ultimi trent’anni, degli eventi di cui siamo stati testimoni, del periodo nel quale l’Amarone della Valpolicella è divenuto senza dubbio il vino maggiormente rappresentativo della produzione veneta, forte dei suoi oltre 6.000 ettari vitati, della propensione all’export, dell’alto valore in termini economici, anche se non è sempre stato così.

Nella laboriosa provincia veronese, dove si parlava quasi esclusivamente il dialetto locale, mentre ora nelle cantine sono poliglotti, fino al 1990 le selezionatissime “rece”, le orecchie, le parti laterali, le migliori del grappolo venivano messe ad appassire per produrre il dolce Recioto, destinato ai giorni di festa o per celebrare un momento familiare importante, con un consumo che spesso non varcava le porte di casa ed era nettamente inferiore al 10% della produzione. Tra gli anni Ottanta ed i primi anni Novanta era più redditizio produrre Soave che non Valpolicella. Oggi invece si è dovuto dare un limite alla quantità di uve destinate all'appassimento, il 65% della produzione, e queste vanno a produrre, per la maggior parte, Amarone.

Dai primi anni Novanta fino al 1997 il numero delle bottiglie di Amarone prodotte triplica e, parallelamente alle prime percezioni del successo, iniziano anche le prime discussioni tra tradizionalisti e modernisti se fosse opportuno dare regole alla conduzione dell’appassimento. Annate molto buone sul campo andavano talvolta vanificate in fruttaio per la troppa umidità ambientale. Solo dalla fine degli anni Novanta verranno utilizzate delle ventole in caso di emergenza.

Il vino che ci fa da filo di Arianna in questo articolo è l'Amarone "Vigneti di Jago" di Domìni Veneti. In questa verticale il vino più datato, il Vigneti di Jago 1997, è frutto di due distinti momenti fortunati: una buona annata sul campo ed un autunno piuttosto secco che ha favorito un ottimo appassimento. Il vino nel bicchiere è granato con riflessi aranciati, all'olfatto si apre piano ma poi sfoggia con naturale grazia sentori floreali di petali di rosa appassita e di viola, rabarbaro e spezie, grafite e tanta balsamicità. Sulle papille è vibrante, agile, deciso sulle inaspettate freschezze, perfettamente integrati i ben 9 gr di zuccheri residui dichiarati. Le botti erano quelle storiche dell’azienda, ossia grandi e molto usate, poco più che contenitori per il vino.

L’annata 2000 fu perfetta e al momento della vendemmia c’erano molte aspettative sulle sue potenzialità. Non è andato così bene invece l’autunno che è stato piovoso, ma gli investimenti fatti in fruttaio con l’acquisto delle ventole hanno tamponato il problema. Da quell’anno nella cantina di Negrar si comincia ad investire su legni nuovi e più piccoli. Le sirene del successo per un vino “dulcamaro” ed il “paradosso francese” dell’epidemiologo Serge Renaud si fanno sentire anche nelle modifiche che verranno fatte nel Disciplinare di Produzione del 2003 con il quale gli zuccheri residui consentiti passano da 8 a 11 gr/l e la molinara non è più obbligatoria ma relegata tra i molti vitigni ammessi per un totale massimo del 15% (massimo 10% per singolo vitigno), tra cui anche vitigni internazionali. Viene riconosciuta l’importanza di un periodo minimo nel quale le uve devono stare sui graticci, non si possono pigiare prima del 1° dicembre per consentire la naturale formazione di nuovi metaboliti. L’appassimento infatti è molto più di una mera perdita d’acqua ottenuta velocemente con un uso spinto della climatizzazione artificiale.

Ma l’Amarone Vigneti di Jago non ha mai ceduto alle eccessive rotondità di quella “facile” lunghezza gustativa data dagli zuccheri residui. Dal quantitativo massimo di 9 gr/l per il millesimo 1997, che curiosamente si sentono pochissimo, rimangono in futuro sempre sotto i 7 gr/lt con minimi  nel 2000 e 2003 a 5,6 e 5,8 che rappresentano una vera e propria controtendenza rispetto al periodo storico.

Il 2000 viene presentato a Vinitaly come “l’annata del secolo” e lo stesso anno inizia la rassegna Anteprima Amarone. È un momento storico molto importante per la Valpolicella: Dal Forno ottiene a distanza di pochi mesi il secondo 99/100 di Wine Advocate con l’Amarone “Monte Lodoletta” 1997 (prima era toccato al 1996). Ma è un buon momento per tutto il Bel Paese del vino,  è il momento del “25” di Arnaldo Caprai e del “Redigaffi” di Tua Rita che raggiunge lo storico traguardo di 100/100, due vini simbolo che consacreranno altrettante zone emergenti: il Sagrantino di Montefalco e la Val di Cornia. Tre vini da zone di produzione così diverse, così lontani ma così vicini per lo stile polifenolicamente polposo e ricco, e l’utilizzo di legni piccoli.

Vigneti di Jago 2000 nel bicchiere si dimostra potente e quasi perfetto per struttura e per eleganza, come tutte le annate promettenti è stato a lungo piuttosto muscoloso, austero e poco espressivo e ci è voluto parecchio tempo per armonizzare tutte le componenti. Spezie, cuoio, tabacco, la prugna e la ciliegia, sulle papille setoso, cremoso, suadente e lungo.

L’annata 2001 ha avuto solo la sfortuna di essere dopo la 2000. Ѐ stata in generale un’annata molto elegante oltre che potente, e lo è ancora oggi, più pronta ed aggraziata, ma senza mai cedere per la sua buona freschezza. Peccato che l’unica bottiglia in nostro possesso avesse un leggero difetto nel tappo, proprio un peccato.

Il 2003 fu la prima vera annata del riscaldamento globale, calda per un lunghissimo periodo senza gli utili sbalzi di temperatura tra giorno e notte. Quando viene presentata, nel 2007, stanno arrivando i primi decisi segnali della crisi finanziaria americana che porterà l’anno seguente al crack di Lehman Brothers. Il più importante mercato mondiale per le esportazioni di vino è alle prese con una forte contrazione dei consumi soprattutto sui beni effimeri. Ancor oggi si sente un Amarone 2003 spostato sulle note di confettura o tendente verso la ciliegia e alla prugna cotta, ma fu amatissimo dal pubblico non professionale e dai nuovi mercati emergenti per la Valpolicella, soprattutto asiatici.

Vigneti di Jago 2005 in Anteprima era difficile, ma essere difficili in anteprima è una cosa migliore che essere perfetti. Il vino era tannico e fresco, terribilmente chiuso. A distanza di più di 10 anni sa dare forti emozioni. Senza essere ancora del tutto aperto, ora nel bicchiere è fragrante, ancora austero sulle note di frutti del sottobosco, con tante spezie scure, il pepe nero, la polvere di cacao e la liquirizia candita, i fiori, la viola appassita. In bocca dritto, potente, serio.

Assaggiamo l’annata 2007, simile se non più calda della 2003. Ci immaginiamo la frutta cotta, la prugna, invece quasi a sorpresa a distanza di nove anni, nel bicchiere troviamo il vino con una bella nota floreale, quasi verde e fragrante, i petali di rosa appassita, poi le erbe aromatiche, un pizzico di salvia, le mineralità, il bergamotto, tanta china, liquirizia e deciso sulle spezie, il pepe nero. Al palato setoso, morbido, pieno con ritorni minerali ed amaricanti.

La 2008 si fa attendere di più al naso di quanto ci immaginassimo, ed è un bene. Si dipana poi lentamente attraverso le spezie, il chiodo di garofano, la china e il bergamotto, arriva alle erbe aromatiche ed alla prugna appassita. In bocca dimostra un buon dinamismo tra potenza e freschezza e tannicità. Non è ancora arrivato il suo momento migliore, ci vorrà pazienza, ma promette davvero bene.

Sono passate dieci vendemmie dai primi anni di successo commerciale dell’Amarone e qualche analisi si può fare. Le attenzioni in vigneto sono aumentate, le rese diminuite e si è meno ossessionati dall'appassimento, non si può fare in fruttaio quello che non si è fatto in vigna. Già all’inizio del decennio si capisce che i modaioli vitigni internazionali non servono più per dare colore e struttura, nemmeno in piccole dosi, perché tendono a banalizzare il prodotto, meglio dirottarli sui “supervalpo”. Arrivano semmai i vecchi vitigni autoctoni dimenticati a dare sostegno polifenolico, come l'oseleta e, più recentemente, lo spigamonti. Si può finalmente osare maggiormente con i legni perché il frutto c'è: aumenta la tostatura delle doghe, ma non esiste solo la barrique.

Vigneti di Jago 2010 si presenta con un bouquet cupo, deciso e in lenta evoluzione. Il vino si caratterizza con note iniziali di frutta sotto spirito, ciliegia e prugna, erbe amare e foglie secche. Piccoli sentori di sottobosco e di caffè d'orzo. L'ingresso sulle papille è deciso con tannini e freschezza in evidenza. Un frutto ben presente sorregge la decisa nota tannico/alcolica, ancora poco equilibrato per giovinezza. C’è un residuo zuccherino avvertibile che ora forse penalizza il sorso, ma in futuro gli darà estrema eleganza. Le annate 2008 e la 2010 sono state caratterizzate da un autunno piovoso: forse l’appassimento forzato dei primi giorni ha determinato vini un po' più potenti di quanto si sarebbe voluto. Nonostante le evoluzioni tecniche, si continua a sperare nelle condizioni climatiche sia in vigneto che in appassimento. Questa fase, oramai si è capito, deve essere necessariamente lunga, senza rincorrere un drastico calo dell'acqua dell'acino che già di suo arriva dalla vigna molto ricco in struttura.

L’appassimento dunque come filo rosso della nostra storia: tecnica non facile, imitata ed impiegata in molti vini della produzione veneta, dal Lago di Garda, alla provincia di Venezia, apprezzata dai mercati ma che da sola non garantisce l’eleganza necessaria per entrare nel regno degli eletti, dove non basta essere facili, piacioni e vellutati.

E questo, pare, la Valpolicella lo ha capito da un po’ di tempo.

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