Chi beve birra ride cent’anni
Franz ama la birra. La adora. Cosa naturale per un Franz “tetesco di Cermania”. Ma il nostro Franz, anche se ha un nome quanto mai pertinente per un bevitore di bier, non è un herr, ma un sciur milanese. E non beve una qualsiasi bier, ma birra artigianale italiana. Birra industriale, vade retro. Non è un Franz qualsiasi. Conosciutissimo in tutta Italia come comico e attore, corrisponde al 50 per cento del celebrato duo Ale e Franz. Franz è il diminutivo d’arte di Francesco Villa, nato il 29 gennaio 1967 sotto il segno dell’acquario anche se, col senno di poi, avrebbe preferito il segno dell’alambicco. Come per Ale, l’altro 50 per cento del duo più stralunato della comicità italiana, è più conosciuto col nome d’arte che con quello anagrafico. A proposito... Ale sta per Alessandro Besentini, milanese pure lui, classe 1971.
Formato nel 1995, il duo ha debuttato nello spettacolo Dall’A alla Z, ha ricevuto la consacrazione ufficiale a Zelig e ha continuato a collezionare successi con gli spettacoli e i film venuti dopo: Seven show, Mai dire gol, Buona la prima, Che tempo che fa, Tutti gli uomini del deficiente solo per citarne alcuni. Quando siedono sulla panchina, il loro luogo di ritrovo, e attaccano con i dialoghi surreali, frastornati e frastornanti, sono uno spasso (chi se n’è perso qualcuno lo recuperi su You Tube). Il duo della panchina ha capovolto i termini della comicità: Franz, che tra i due dà l’impressione di avere il q.i. più alto, fa la parte del beota, del tontolone con sprazzi di bertoldiana scaltrezza; Ale, capigliatura clownesca e faccia, come dicono i veneti, da sensieròto, al contrario è l’uomo ponderato, di buon senso, ancorato alla realtà. Sono un Gianni e Pinotto, un Franco e Ciccio a parti invertite.
Anche se l’argomento - la birra - è facile, intervistare Franz è pericoloso. T’aspetti il comico, ti ritrovi un impiegato di banca. Se fosse genovese diresti che risparmia persino sulle parole. Prima o poi t’aspetti che dica una battuta cui attaccarsi e far fare all’intervista una capriola invece ti ritrovi con un diacono: a domanda, risposta. Dove sta il pericolo? Nelle pause. In una più lunga del necessario sulla panchina a fare la parte del beota ci finisce il giornalista. Confesso la castroneria: per stimolare uno dei più grandi comici italiani cos’è che ho fatto? Gli ho raccontato una barzelletta? E, coglioneria doppia, una barzelletta che manco fa ridere. Ma andiamo per ordine.
Franz è il nome giusto per uno che beve birra. Non trova?
Vero che lega bene? Casca bene.
So che ha fatto uno spot per Unionbirrai. Si è appassionato alla birra dopo aver visto come lavoravano?
Al contrario. Ho fatto quello spot perché ero appassionato di birra. In particolare mi piacciono le artigianali per il mondo che c’è dietro. Hanno alle spalle un’arte più curata e raffinata delle birre industriali.
Comunque prima di scoprire la birra artigianale beveva birra. Quale?
Ho cominciato con le solite richieste banali: una birra chiara, una scura. Ho iniziato con le leggere poi sono passato a quelle più forti. Pian piano mi sono incuriosito e poi appassionato. Così sono arrivato alle birre artigianali. Insomma pian piano mi sono fatto una cultura. Adesso mi arrabbio quando entro in un bar con un amico e lo sento chiedere al barista: mi dia una birra chiara. È come entrare in una concessionaria e chiedere al venditore: mi dia una macchina. O come entrare in un ristorante e domandare al maitre: mi serva un piatto. Non si fanno domande generiche. Si entra nel mondo delle birre per compiere un viaggio interessante e conoscere quel mondo.
A quali birre artigianali rivolge i suoi favori?
Non sono un consumatore monotono. Mi piacciono le agrumate, le amare, le India Pale Ale, le birra amarognole con un retrogusto acidulo. Mi piacciono anche le weizen, semplici, fresche, leggere. Non riesco a bere birre troppo forti, meglio una blanche leggera e beverina, le lager meno fruttate. Non sono un tipo da birre scure.
Mettiamo sul banco IPA, Stout, Bock, Saison, Lambic, Belgian Ale: quale sceglie?
L’IPA. Sono un ipaiolo. Come la metti in bocca cambia gusto e ti porta fino a un retrogusto amarognolo che è una meraviglia. Ma l’importante è che sia una birra artigianale per la grande cultura che c’è dietro.
Segue dei rituali bevendo birra?
A parte pretendere il giusto bicchiere, mi piace berla in compagnia degli amici, rilassarmi, lasciarmi andare al piacere di gustarla, condividerla con amanti... della birra.
Dopo “amanti” ha fatto una pausa, perché?
Non sia malizioso. Sono single, non pensavo ad amanti femminili, ma agli amici storici che condividono il piacere di una birra artigianale con me.
Sarà mica uno di quelli che mettono il limone nella birra?
Sì, nella weizen metto il limone e non ci vedo niente di male, anzi. Quando piace e dà piacere a me non c’è nulla da scandalizzarsi.
Come la mettiamo con il vino? O va solo a birra?
No, mi piace anche il vino anche se non mi appassiona come la birra. Mi piacciono i vini rossi, intensi, ma bevo volentieri anche i bianchi, il lambrusco fresco, i vini leggeri.
Nell’eterna disputa se è nato prima il vino o la birra, c’è una testimonianza archeologica a favore di quest’ultima: ne avrebbero trovate tracce in una grotta nel nord di Israele che risalgono a 13 mila anni fa. Che ne pensa?
È una primogenitura che mi fa piacere. Chissà se accompagnavano una grigliata di mammut con una birra d’orzo. Sapevo dell’importanza della birra nella costruzione delle antiche piramidi in Egitto, storia di 5.000 mila anni fa. Ne consumavano in quantità industriali.
A proposito di grigliate, lei è vegetariano. Come fa a privarsi di una bella birra fresca con una grigliata di carne?
Non ci vuole per forza la carne per assaporare il piacere di una bella birra. Sono vegetariano, ma mangio il pesce. E lo accompagno sempre con la birra giusta. L’abbinamento dipende dal tipo di pesce. Normalmente lo abbino con birre delicate, le più adatte. Oltre che col pesce bevo birra con le verdure e con il sushi. La birra dà un senso al sushi di cui non sono un grande appassionato. Comunque bevo la birra anche da sola.
Birre da meditazione? Come certi vini di Veronelli?
Più che per meditare, per piacere o per provare, senza altre distrazioni, birre artigianali nuove.
Al Queen’s college di Oxford c’è un rito d’auguri natalizi che dice: Vi auguriamo un felice Natale e felice anno nuovo, un sacco di soldi e una cantina piena di birra e un porcellino grasso per ogni giorno dell’anno.
E allora mi sento molto oxfordiano: bere e godere. Ho provato personalmente queste atmosfere anglosassoni. In Scozia particolarmente ho trovato una convivialità che invidio. Il pub è la loro seconda casa, il luogo dove ci si ritrova, dove si rinsaldano le amicizie, si discute su tutto. Si va al pub a vedere la partita, tutti insieme. Il merito è della birra buona, un motivo in più che affratella.
Prima si parlava di storia della birra. Lo sa che i Lanzichenecchi nel loro contratto pretendevano, oltre al resto, la fornitura di 15 litri di birra al giorno?
Personalmente faccio fatica ad arrivare a mezzo litro. Ma a quei tempi la birra era considerata come elemento nutritivo, quindi aveva una valenza maggiore. Avevano la birra nella propria alimentazione.
Francesco Redi, un poeta del ‘600, la disprezzò con questi versi: “Chi la squallida cervogia/ alle labbra sue cogiugne/ presto muore o rado giugne,/ all’età vecchia e barbogia”. Che ne dice?
Redi aveva ragione. Con tante birre artigianali buone che ci sono perché bere quelle squallide? Ci sono birre che sono dei capolavori. Le birre di qualità artigianali hanno tanta storia da raccontare, tanta cultura e tanta poesia che sarebbe piaciuta anche al Redi. Basta saper gustare e degustare, come si fa col vino.
Se dico “In vino veritas” cosa risponde?
In birra allegria. La birra è la bevanda della gioia dell’estate.
Se non foste Ale e Franz chi preferiste essere tra queste altre coppie: Stanlio e Olio, Gianni e Pinotto, Franco e Ciccio, Giulietta e Romeo, Tex Willer o Kit Carson?
Mamma mia, che meraviglia! Ci sono coppie famose dalle quali abbiamo tratto ispirazione. Restando alle coppie comiche diciamo Stanlio e Ollio e Franco e Ciccio.
Ed è a questo punto che casca l’asino. Pausa troppo lunga ed ecco il giornalista beota che racconta una barzelletta ad uno che fa ridere di mestiere.
La conosce la barzelletta di Matusalemme e la birra?
No.
Un amico invita Matusalemme al bar e ordina: “Due boccali di birra, sei d’accordo?” “Assolutamente no”, replica Matusalemme. “Ma come? Non ti piace la birra?”. Dopo aver toccato il toccabile, Matusalemme (che campò fino a 969 anni) spiega: “Ma non lo conosci il proverbio che chi beve birra campa solo cent’anni?”.
Commento di Franz, senza l’ombra di un sorriso: “Fine come barzelletta”. Una lama di ghiaccio infilata tra le costole mi avrebbe fatto meno male di quell’aggettivo: “fine”.
Vinetia Magazine 01.21