Carnet di viaggio
Dalla redazione
mercoledì 15 marzo 2017

Maeli, il moscato giallo e le sue sfaccettature

La delegazione AIS di Venezia in visita da Maeli nelle terre del Pirio, nel versante più a nord dei Colli Euganei

Lorena Ceolin


È già il viaggio che ti porta ad immergerti nel territorio che raggiungerai, l’immaginazione genera aspettative e percorrendo le strette stradine in salita, tortuose e alternate a brevi tratti pianeggianti dove la terra appena mossa dai trattori è rossa o quasi nera, dove i giochi di luce in questo stupendo pomeriggio quasi primaverile, sono la proiezione dell’ombra dei boschi di castagni e carpini, degli uliveti e dei bassi arbusti di lecci e corbezzoli. La nostra meta oggi sono i Colli Euganei, un gruppo di quasi cento rilievi di svariate altitudini, che ebbero origine circa 35 milioni di anni fa a seguito di alcune eruzioni sottomarine, che conferirono a questo paesaggio un aspetto unico e suggestivo.

Ci diamo appuntamento nelle vicinanze del Monte Pirio, dove ci accoglie Elisa Dilavanzo, produttrice dei vini Maeli. Qualcuno diceva che nei tratti di una persona è nascosta la sua anima, chissà se è vero. Perché Elisa con il suo sguardo diretto e dolce, le sopracciglia alte e ben disegnate, fanno pensare ad una donna con grande intuito, lo sguardo di chi è sempre pronto alle sfide. Certo è che Elisa sia una bella donna, elegante nei modi e in grado di metterci subito a nostro agio. Una breve passeggiata ci porterà in vigna. Alcune chiacchere sulla storia aziendale ci informano che la sua costituzione è recente e che dal 2013 Elisa ne ha assunto la completa conduzione. Ulteriore energia viene infusa nel 2015, con l’ingresso dei fratelli Bisol, Gianluca e Desiderio, con quest’ultimo che ne diventa il supervisore, occupandosi poi anche della conduzione enologica, inizialmente seguita da Andrea Boaretti. Il nome MAELI è un acronimo che  deriva dalla fusione di due parole significative: marna e limo, i componenti fondamentali di questo terroir, la base su cui affondano le radici dei vigneti di moscato giallo, qui denominato fior d’arancio, che sembra prenda vita dall’incrocio del moscato bianco con il vitigno chasselas.

Veniamo rapiti dalla bellezza del panorama: dietro i colli all’orizzonte si scorge da un lato Padova, dall’altro la laguna e poco dietro le Dolomiti, un bellissimo spaccato di natura, quasi mozzafiato. Il capo di ogni filare viene abbellito da una pianta di rose gialle; la terra qui è quasi bianca, prevale la marna di origine calcarea che nei mesi di giugno e luglio riflette la luce del sole e quasi si illumina. I vigneti sono posti ad altitudini diverse e i trattamenti a cui vengono sottoposti non sono mai aggressivi, per tutelare l’ecosistema, nel rispetto della natura. Del resto in questo angolo di pace si è preservati da smog ed inquinamento.

Prima di recarci in cantina, salutiamo le terre del Pirio brindando con un calice di Maeli Fior D’arancio 2014. Brillante è il suo aspetto, di un giallo quasi dorato, con lunghe catenelle di bollicine fini. L’olfatto è elegante con note floreali di rosa bianca e acacia e fruttate di pesca bianca e agrumi. Chiude con quel sentore di muschio ed erba aromatica tipico del vitigno. Il palato è appagato dal perfetto bilanciamento tra morbidezza e freschezza gustativa, sostenuto da una incisiva sapidità. Un prodotto versatile, che si abbina bene non solo a dolci e a dessert, ma anche ad alcune proposte della cucina della costiera amalfitana, ai carpacci o alle tartare di pesce aromatizzate con l’arancia, un vino che viene proposto nell’alta ristorazione, nel locali stellati, nei noti roof-bar internazionali. Poche bottiglie per una clientela selezionata. Non nego che il nostro è stato un abbinamento emozionale con il paesaggio circostante e la buona compagnia.

La cantina Maeli è una vera boutique. Progettata dalla studio di architettura Gris + Dainese, è incastonata e perfettamente integrata alle colline e ai campi circostanti, realizzata in trachite e vetro e si avvale anche di un casale con 3 stanze adibite all’accoglienza.

I primi assaggi si fanno al piano inferiore, direttamente dalle vasche di acciaio:

Bianco Macerato 2016 – 100% Moscato giallo – ottenuto con fermentazione spontanea e con utilizzo di lieviti indigeni selezionati, sosta sulle fecce fini senza aggiunta di solfiti.  All’esame visivo si presenta lievemente velato, l’olfatto è erbaceo di muschio ed erbe aromatiche, fruttato di pera e pesca bianca, deciso l’ingresso al palato, freschezza prorompente unita ad una sapidità minerale e ad una leggerissima astringenza tannica.

Surlie 2016 – 100 % Moscato giallo  (vino frizzante 2,5 atm) non perfettamente pulito all’esame olfattivo dove la nota sulfurea copre i sentori fruttati e di erbe aromatiche.

Base Metodo Classico 2016 – 100% Moscato giallo – di comune accordo lo definiamo un infuso di erbe officinali ed aromatiche, malva, sambuco, timo, aneto  a cui si uniscono sentori vegetali di asparago verde ed erba appena falciata e note muschiate. Al gusto prevale una importante freschezza gustativa e un retrogusto di buccia di lime.

Successivamente ci spostiamo nella sala degustazione per completare i nostri assaggi:

Surlie 2015 (85% moscato giallo, 15% chardonnay), l’aspetto è quello di una birra blanche rifermentata in bottiglia, i profumi sulfurei ti trasportano in una ambiente termale, ricordano l’origine vulcanica del terroir, si fa spazio un ricordo di cereale maltato, all’assaggio è fresco, dissetante, con un gradevole retrogusto agrumato di cedro.

Dila’ Brut Nature 2014 Metodo classico – moscato giallo 2014 (351 gg di sosta sui lieviti). Si tratta del primo esperimento di metodo classico su moscato giallo. L’enologo che ha seguito la sua produzione è Fabrizio Zardini, che opera all’abbazia di Praglia, dove le bottiglie sono state poste per l’affinamento, in un locale di clausura interdetto alle donne, in cui nemmeno Elisa Dilavanzo poteva accedere. In qualche modo si tratta di un vino avvolto nel mistero, nato nelle viscere di un’abbazia benedettina. Durante la mescita la spuma aderisce compatta al calice e si presenta persistente, il colore è un luminoso giallo paglierino con riflessi dorati e insieme verdolini. Un vino che si concede delicatamente all’olfatto, incuriosisce con i suoi sentori fruttati di pesca bianca e ananas , di buccia di cedro e lime, che si intersecano con note tostate di nocciola e di crosta di pane. Il corredo aromatico è insolito: si tratta di un prodotto originale e che esprime territorialità.

Bianco Infinito 2014 (moscato giallo 70%, Chardonnay 30%) - Bianco Infinito 2015 (moscato giallo 100%). Per capire le differenze sostanziali di queste 2 annate di Bianco Infinito è doveroso informare che nel 2014 la conduzione enologica era di Andrea Boaretti, il quale, vista l’annata fresca, decise di unire al moscato una percentuale di chardonnay per mitigare l’acidità prorompente. Il risultato è stato un vino che si colloca per ricordi olfattivi e gustativi in un ambiente marino, dove profumi di salsedine e note iodate la fanno da padrone. Nell'annata 2015 si sceglie di riportare il moscato giallo in purezza, coerentemente con la filosofia dell'azienda che mira a dare espressione a un'uva in grado ormai di "parlare" da sola.

In questa visita abbiamo celebrato il Moscato Giallo in molteplici sfaccettature, attraverso la degustazione di diversi stili, non tralasciando mai la cura maniacale per il prodotto vino, includendo anche lo studio accurato dell’etichetta che raffigura un vulcano stilizzato, piuttosto che delle capsule da collezione. 

Per AIS delegazione di Venezia il desiderio è quello di poter osservare da vicino i territori e i produttori, che hanno scelto di presidiare un luogo, di custodirlo, di fare vino che rappresenti quella terra, e in qualche modo, se stessi.

[foto di Bruno Bellato]

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