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Dalla redazione
mercoledì 15 marzo 2017

A caccia di vulcani in Valpolicella

La Redazione Ais Verona alla scoperta delle peculiarità di un territorio e come queste si riflettano sugli stili di un'azienda.

Fabio Poli


Il Veneto è geologicamente molto frammentato, i terreni cambiano in continuazione nelle varie aree di produzione ed anche all’interno delle stesse. Non poteva fare eccezione la Valpolicella con i suoi oltre 7400 ettari vitati e una estensione che comprende 7 valli, da S. Ambrogio fino a Illasi.

Nella vallata di Marano, nel cuore della zona classica, c’è pure un vulcano. Lo si nota salendo verso nord, superato l’abitato di San Rocco di Marano e arrivati in Loc. Carrazole, guardando verso sud c’è la chiara forma di un vulcano esploso. Proprio qui sorge, sul versante sud, la chiesetta del Santuario di S. Maria in Valverde, uno degli scorci più belli della Valpolicella, luogo di culto ma anche punto panoramico sulle valli, i vigneti e il Lago di Garda. Qui, si racconta, nel 1320, Federico della Scala, Conte di Valpolicella, alla presenza dei fedelissimi Cavalieri d'Arme e dei Dignitari più prestigiosi, procedette alla investitura dei primi Cavalieri del Recioto, usanza che è stata ripresa nello stesso luogo nel 1969 e che prosegue tutt’oggi.

L’esplosione del vulcano, in epoca eocenica, ha provocato una fuoriuscita lavica, che ha originato un suolo unico nella Valpolicella Classica, fatto di componenti tufacee piroclastiche, miste a scisti calcaree-cretacee, il cui prolungamento è il monte Sant’Urbano. Esso segna la linea di confine tra la vallata di Marano e la vallata di Fumane e la formazione di un anfiteatro naturale di tufo appena sotto. Dal Santuario, proseguendo sulla stradina che scende in direzione sud, si possono notare i tufi giallo-verdognoli (piroclastici) della colata lavica, duri e aridi, che si smaterializzano piano piano a contatto con l’aria e si trasformano in terriccio nella parte superficiale. Questa struttura del terreno costringe le vigne a una forte espansione radicale, che si nota a fianco del vigneto a guyot dell'azienda Terre di Leone, sotto la macchia boschiva.

Grazie alla ricchezza di falde acquifere, di cui le numerose fontane presenti nel territorio sono chiara testimonianza, e il tufo, che trattiene abilmente l’acqua, i vigneti e le altre colture ci mostrano lussureggianti gradazioni di verde nelle chiome di alberi da frutto, olivi e pareti fogliari dei vigneti, da qui il nome Valverde.

Terre di Leone

Azienda giovane che esce sul mercato solamente dall’annata 2005. Federico Pellizzari e Chiara Turati sono una coppia di persone curiose, precise e meticolose, che non lasciano nessun minimo particolare al caso. Si cimentano in questo nuovo lavoro, riprendendo la storia del nonno di Federico, Leone, che qui aveva dei vigneti semi abbandonati. La passione e il desiderio di ritornare alle radici  muove Federico verso un modo di applicarsi scientifico, lui che studia da avvocato, ma si sa vestire da contadino, per trasformarsi in apprezzato wine maker, sempre accompagnato e supportato da Chiara, donna dolce, ma molto determinata.

Si aggiungono al classico uvaggio le autoctone riscoperte: oseleta, negrara, turchetta, spigamonti e dindarella ed una decina di varietà lasciate dal nonno, tolte e reimpiantate. Queste ultime contribuiscono, in misura del 25%, al Dedicatum, un IGT da uve appassite prodotto solo in alcune annate, il vino che contraddistingue l’azienda. Nessun vitigno internazionale viene coltivato, e neppure la croatina. Due linee per i vini la denominazione: Re Pazzo e Terre di Leone. Gli uvaggi rimangono gli stessi, ma sulla prima solo acciaio e niente appassimento per i Valpolicella e un passaggio in pressa per l’Amarone. Botte grande e tonneau con parziale appassimento per i Valpolicella e Ripasso di Terre di Leone, solo mosto fiore per l’Amarone. Ne escono due stili diversi. Humus, florealità, spezie bianche e grande bevibilità per la prima; cioccolato, caffè, tabacco, spezie scure, frutto croccante e palato importante per la seconda.

Valpolicella Classico Re Pazzo 2015 - Rubino ben trasparente. La frutta rossa in primo piano, marasca in confettura, melograno, bastoncino di liquirizia e tocchi di grafite. Sulle papille portavoce del territorio con un tannino gentile, vibrante freschezza, bellissima beva e ritorni appena tostati. Solo acciaio.

Valpolicella Superiore Terre di Leone 2009 - Luminoso rubino. Olfatto ampio e fine. Balsamico con tocchi di spezie scure, rabarbaro, una dolce ciliegia ed i piccoli frutti del sottobosco. A tratti quasi sensazioni eteree e nuance di liquirizia. Caldo al palato ed avvolgente, tannino nobile, non invasivo, accompagnato da una bella acidità e mineralità. Matura in botti di rovere francese e tonneau.

 
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