Carnet di viaggio
Dalla redazione
venerdì 3 febbraio 2017

Il raboso. Tra tradizione e territorio

Un pomeriggio con la cantina Cecchetto Giorgio

Pietro Polato


La ricchezza ampelografica del nostro Paese permette di produrre a livello regionale delle vere e proprie chicche enologiche, dei vini di grande impatto gustativo, originalità e soprattutto legati ad una lunga tradizione territoriale. Tra questi vitigni autoctoni pre-fillossera ce n’è uno del Veneto di grande importanza storica che interessa soprattutto le province di Treviso e Padova: il Raboso Piave, vitigno iscritto nel registro nazionale delle viti da vino fin dal 1970. Il nome, l’etimo, sembra sia legato ad un affluente torrentizio del Piave, il Raboso appunto, e vanta tra i sinonimi il termine Friularo, che deriva da “frio”, cioè freddo data la maturazione tardiva oppure dalla regione del Friuli, in quanto i confini storici arrivavano alla destra del Piave. La versione più accreditata è che il nome sia frutto della sensazione gustativa legata ad una imponente acidità e tannicità che lo rende “rabbioso” in bocca.

Al di là delle disquisizioni linguistiche, un’azienda che ha saputo valorizzare questo vitigno, sia per la qualità dei prodotti, sia per la ricerca sperimentale e valorizzazione storica, è la Cecchetto Giorgio di Tezze sul Piave (TV), nata nel 1994 che, il giorno 23 gennaio, ha ospitato la delegazione AIS di Venezia.

Per fare del buon vino serve produrre dell’ottima uva ed ecco che la visita ha inizio in campagna, nel vigneto, guidati dal figlio Marco che con grande proprietà del linguaggio tecnico ma anche semplicità ha saputo spiegare gli aspetti più importanti della coltivazione del Raboso: le diverse forme di allevamento che si sono succedute nei tempi, dalla raggera Belussi al Guyot, passando per il Sylvoz, la potatura medio lunga dovuta all’infertilità delle gemme basali, una forma di lotta fitosanitaria integrata in modo da avere il minimo impatto ambientale nella gestione del vigneto. Quindi grande attenzione e rispetto dell’ambiente. L’azienda coltiva circa 200 ha di vigneto con una parcella addirittura del 1970. La vendemmia è manuale con tre passaggi in base alla tipologia di Raboso da produrre. Di grande importanza, ai fini della ricerca, il campo sperimentale con 54 biotipi diversi allevati in differenti sistemi.

In cantina innovazione e tradizione, tecnologia ed esperienza si fondono. Troviamo fermentini in acciaio con controllo elettronico dei rimontaggi e delle follature, ma anche maestose botti in legno e barrique per l’affinamento. Barrique e tonneau di essenze legnose diverse, alcune di queste legate alla flora del territorio come i preziosi caratelli in legno di gelso.

Dalla cantina alla sala degustazione si passa attraverso il fruttaio dove viene appassita l’uva con un costante controllo della ventilazione e della temperatura: ben 5 sono i mesi che i grappoli di Raboso rimangono in appassimento.

La sala degustazione, molto accogliente e ben preparata, ci riserva 6 vini all’attenzione dei nostri sensi.

  • Il primo uno spumante metodo classico, il Rosabruna. 50 mesi sui lieviti. Come ci si aspettava grande freschezza con carbonica ben implementata nella struttura del vino. Al naso fragoline di bosco e marasca, con un finale piacevolmente amaricante e lungo.
  • Il secondo vino il Sante Rosso, merlot in purezza 2015. Grande struttura e morbidezza, intenso al naso, tannino in evoluzione a sfidare il tempo. Un merlot come pochi. Vino pluripremiato dal mondo enologico.
  • Il terzo vino un Raboso 2013. Profumi tipici della cultivar, marasca, prugna e amarena. Vino franco e pulito, che molto bene si adatta agli abbinamenti con i prodotti del territorio: salumi, formaggi semistagionati e lo “speo“, il caratteristico spiedo trevigiano.
  • Quarto vino il Gelsaia 2013. Raboso prodotto in assemblaggio con un 20% di uva appassita, cavallo di battaglia dell’azienda. Le caratteristiche varietali si ingentiliscono grazie alla morbidezza data dall’appassimento, rendendolo un prodotto bilanciato e gradevole al palato.

È a questo punto che il Sig. Giorgio ci riserva una sorpresa, a conferma della capacità di “élevage” del Raboso.

  • Viene servito in bicchiere da grandi vini rossi, un Raboso del secolo scorso: anno 1998. Sfumature cromatiche tendenti al granato. Al naso terziari evoluti, acidità smussata dal tempo che dà morbidezza insolita a questa tipologia di vino. Struttura tannica ancora da costituirsi, dorsale gustativa nonostante la lunga evoluzione. Questo vino ha regalato stupore e ammirazione per questo vitigno, considerato un po’ come altri vitigni autoctoni, “figli di un Dio minore”.
  • E per finire in dolcezza ultimo vino un Passito di Raboso, affinato con metodo soleras. Dolcezza e freschezza quasi fossero yin e yang. L’una implementa e bilancia l’altra creando grande equilibrio e rotondità gustativa.

La delegazione AIS di Venezia nell’accomiatarsi rende grazie all’azienda Cecchetto per l’ospitalità ma soprattutto per questa grande testimonianza di impegno a valorizzare il vitigno Raboso e il suo territorio.

[foto di Bruno Bellato]

articoli correlati
Chi non Ischia non ostrica
sabato 29 luglio
Se dovessero chiedermi un colore per descrivere Ischia non avrei dubbi a rispondere VERDE
Enocicloturismo: una strada in discesa
giovedì 8 giugno
Crescono velocemente gli appassionati e le proposte turistiche da Nord a Sud. Con le cantine sempre
Viaggio in Alto Adige
giovedì 18 maggio
Due cantine altoatesine di vini rossi e bianchi
I Capitelli si raccontano
lunedì 1 maggio