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Dalla redazione
venerdì 21 maggio 2021

L'arte di raccontare il vino

il vero sommelier: narratore di emozioni

Federica Spadotto


Mi sono chiesta molte volte cosa significhi essere sommelier. Concettualmente la risposta è abbastanza scontata: un conoscitore ed esperto di vino in grado di cogliere le caratteristiche organolettiche ed illustrarle con appropriata terminologia…un tecnico, tutto sommato.

Forse è per questo che la maggior parte delle persone sedute al ristorante provano un senso di soggezione nell’ascoltare da un esperto dall’elegante divisa la disamina della bottiglia che hanno sul tavolo, spesso disarmati nella loro ignoranza, talvolta addirittura stizziti per non aver capito quasi nulla. Lo stesso accade per le descrizioni dei dipinti condotte dai critici d’arte, tanto erudite quanto funamboliche, incomprensibili e, nella maggior parte dei casi assolutamente noiose per il pubblico.

In entrambe le circostanze il risultato è lo stesso, ovvero la presa di distanze da una materia ritenuta troppo impegnativa, difficile, quindi estranea da quel piacere che sia il vino, sia la pittura dovrebbe procurare ai sensi.

Non mancano, per nostra fortuna, i “narratori di emozioni”, ovvero quegli specialisti dei rispettivi ambiti in grado di accompagnare i propri interlocutori - neofiti, appassionati o semplici fruitori - in un viaggio metaforico, accogliendoli nel loro mondo come affabili ed accattivanti anfitrioni. L’erudizione cede il posto al racconto, creando forte empatia e curiosità, stimolando l’interesse; la conoscenza della materia, le esperienze accumulate, il grado di cultura non soggiogano il pubblico, ma divengono, in questo caso, un prezioso bagaglio da trasmettere.

Il timore di perdersi nella foresta della nomenclatura, di deviare verso direzioni incomprensibili alla bussola intellettuale dei comuni mortali, oppure - situazione assai frequente - di assistere ad un noioso compiacimento enciclopedico passando in rassegna nomi di cantine ed etichette come fosse un’Ave Maria, abbandona la mente del commensale per sostituirsi alla gioia di immergersi in una materia avvincente in cui ritrovare parte di se stesso.

Tale passaggio rappresenta il punto di svolta nel rapporto con il pubblico: lo sapevano bene i pittori del Rinascimento, quando venivano chiamati dagli illustri committenti a comporre le loro opere, deputate ad “educare gli umili” - l’equivalente dei neofiti del vino! -.

Un episodio esemplare in questo senso vede come protagonista Paolo Veronese: gli venne chiesto dal priore della chiesa di SS. Giovanni e Paolo a Venezia, d’illustrare attraverso il suo pennello l’episodio evangelico dell’ultima cena secondo i dettami di rigore religioso che caratterizzavano la Controriforma cattolica.

All’interno di una tela dalle dimensioni titaniche il grande maestro veneto doveva coinvolgere il pubblico, composto per lo più di analfabeti, ad immergersi nella storia.

Obiettivo affatto scontato, trattandosi di un target per lo più digiuno di cultura artistica, ma Paolo riuscì a centrarlo talmente bene da fissare la sua opera nella memoria dei posteri in modo indelebile. L’artista capì che per attrarre l’attenzione era necessario immedesimarsi nei propri interlocutori ed immaginò la scena religiosa come un fastoso convitto guarnito di personaggi, animali e piatti succulenti su vassoi d’argento. Tra pappagalli, paggi ed un cane alla ricerca di un prelibato boccone, Gesù attende la sua parte di pollo, che gli verrà servita da Pietro, deputato a tagliare il volatile con estrema attenzione.

Lungo la gradinata di destra un elegante, giovane uomo inala i profumi da un bicchiere, secondo una modalità ben nota al mondo della degustazione, per essere eletto da Philippe Daverio il primo sommelier in pittura. Immerso nella tumultuosa armonia di colori, ingredienti compositivi e dettagli questa suggestiva figura rischia di perdersi, come un tassello di un improbabile mosaico delle meraviglie.

Eppure, a guardarlo bene, esprime con estrema efficacia la gioia della convivialità, oltre all’esperienza della degustazione, variegata e personalissima, il cui denominatore deve essere, lo ribadiamo, il piacere dell’esperienza sensoriale.

L’erudizione, facendo il verso al nostro Veronese, la lasciamo a chi se ne vuole compiacere, ed alla stregua del grande maestro, aspramente criticato dai suoi committenti per l’ardire di aver trasformato una parabola in favola, rendiamo omaggio a quei narratori del vino che riescono a rendere indimenticabile una bottiglia.

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