Federica Spadotto
La Valle d’Aosta mi ha sorpreso. I viticoltori di Villeneuve e dintorni, quelli che hanno fatto la storia di una regione in cui l’aggettivo “eroico” rappresenta un vero e proprio carattere identitario sono generosi, solidali, uniti nel rappresentare con i loro vini l’essenza di una comunità.
Qui montagna è sorriso, ospitalità, e soprattutto amore, come recita l’inciso della Maison Anselmet, produttore di punta della zona, che recita:
"E dove non è vino non è amore".
Il suo patron, Renato, si mostra diffidente nei confronti dei sommelier, in quanto la sua filosofia teme il linguaggio tecnico, ed elegge a chiave della comunicazione la “corrispondenza di amorosi sensi” che si instaura tra il commensale ed il bicchiere che ha di fronte.
Da vero anfitrione ti accoglie al proprio tavolo e con un atteggiamento affabile, quanto informale, condivide la gioia del giallo dorato di uno straordinario chardonnay, o del rosso rubino dalle magiche sfumature che è valso al suo pinot noir Semel Pater 2020 il riconoscimento nella top ten dei migliori vini italiani.
…ma non lo dice.
E’ il vino che parla, che ti invita all’assaggio, donandoti un’emozione che solo la passione - insieme all’amore di cui sopra - è in grado di trasmettere.
C’è fatica, senza dubbio, molto impegno, studio e pratica di cantina, ma Renato non vuole raccontarlo, se non dopo grande insistenza.
Il suo orgoglio sono i tuoi occhi, allegri o lucidi a seconda del grado di apprezzamento per un vino in grado di raggiungere la perfezione senza essere manierista, come accade per il citato pinot noir; o come accade all’assaggio dello Chardonnay elevato in botti di rovere: incisivo ed indelebile come solo le emozioni forti sanno essere.
Proprio quel vino è stato in grado di sedurre una coppia di francesi giunti “per sbaglio” da Anselmet in cerca del Muscat Flètri, immediatamente dimenticato insieme a qualsiasi altra velleità.
Solo alzandomi, a malincuore, dal lungo tavolo di rovere, ho capito perché questa maison non possiede insegna, né indicazioni stradali, e, soprattutto, assomigli ad una delle tante abitazioni della zona. Essere informale dona un approccio confortevole agli ospiti - così vengono chiamati i clienti - cui la porta è sempre aperta.
“E pensare che ero un dirigente dell’Enel…”, confessa Renato, “…di vino non ne sapevo nulla. Ho iniziato per onorare la memoria di mio padre, e quando ho visto che le mie prime, poche bottiglie, andavano a ruba, ho deciso di continuare”.
Quel continuare significa, ancora oggi, recarsi puntualmente in Francia per affinare la tecnica e l’esperienza che hanno reso Anselmet una realtà di altissimo livello, apprezzata in tutto il mondo, che può contare, inoltre, sulle future generazioni.
Me lo ha mostrato con orgoglio proprio Renato, presentandomi i suoi figli, cui brilla la stessa luce negli occhi, proprio come accade per i grandi amori.