Gianpaolo Breda
Il primo grande mercato del vino.
Nell’immaginario collettivo Venezia richiama sontuose immagini di palazzi nobiliari che si specchiano nell’acqua, romantiche vedute lagunari e pittoreschi scorci di calli e campielli. Anche la sua cucina è generalmente nota, delineata da tipici tratti marinari e in saor e da dolci prelibatezze. Tuttavia, in questo scenario da favola ovunque rappresentato, sfugge il ruolo e il carattere del grande protagonista della tavola imbandita: il vino. Assieme ai quattro cavalli di bronzo, esposti nella Basilica di San Marco, arrivò dall’impero bizantino ogni bene, conferendo a Venezia quell’alone orientale che tutti conoscono. E fu proprio grazie alla Quarta Crociata e alla conquista di Costantinopoli che la città lagunare divenne sede del primo grande mercato vinicolo del Mediterraneo. Qui i suoi destri mercanti contribuirono alla diffusione di un vino ambrato, dolce, aromatico, originariamente importato dalle terre conquistate nel Peloponneso: la Malvasia. Oltre al merito di aver creato un fiorente mercato, questo vino navigato lasciò in eredità il suo toponimo impresso nei sottoporteghi, ponti e calli in cui veniva venduto e sorseggiato. Così quando oggi girovaghiamo in quei posti, ne riviviamo la storia, quale contributo della caleidoscopica realtà della Serenissima.
Malvasia, un’icona.
Venezia adottò già in passato con il suo vino i più moderni sistemi di comunicazione. La Serenissima infatti intuisce che è necessario trasformarlo da genere alimentare a oggetto di culto e per farlo si allontana da Dioniso del mondo greco e carica i vini del mediterraneo orientale di valori laici, facendoli diventare una moda, lo Status Symbol delle classi abbienti. In un tempo in cui la distinzione del vino era bianco o rosso, vino de monte o vino de plano, avere un prodotto con un chiaro riferimento geografico, una sorta di denominazione di origine, dava grande prestigio. Se poi si trattava di un vino dolce, raro, costoso, frutto di un appassimento, diveniva vero oggetto del desiderio.
Vini foresti e vini nostrani.
A Venezia il vino non veniva soltanto venduto, ma anche consumato, nonostante non fosse sempre alla portata di tutti. Da qui la distinzione tra quello foresto costoso, simbolo di festa e spesso abbinato ai bussolai, dolci e ciambelle per le feste di corte, e quello nostrano, essenziale per la sopravvivenza fisica di interi ceti sociali, che dalla terraferma veneta (lo Stato da Tera) cominciò ad arrivare in laguna in grande quantità soprattutto alla fine del 1300, dopo che il Dogado fece sua l’intera regione. La Malvasia, primo tra i vini foresti, veniva definita anche vino ultramarino. Era il vino più famoso e richiesto dalla nobiltà, originario dello Stato da Mar, un’icona del gusto che non si identificava solo con un vitigno, ma con un luogo d’origine e una tecnica produttiva.
Tra bàcari e furàtole.
Ma dove degustare una buona malvasia? Il bàcaro veneziano è forse il locale più tipico per degustare un cicchetto ed un buon calice di vino. In passato però c’era distinzione tra locali che servivano il vino: il sanmarco o sanmarchéto, una sorta di bettola, il bastión, un’osteria di bassa qualità, i magazéni che vendevano un’unica tipologia di prodotto ed erano il centro della vita del sestiere, luogo di incontro e di chiacchiere. Per mangiare qualcosa bisognava spostarsi dal luganegher, in genere a due passi, l’ostaria, locanda dove si beveva, si mangiava e si alloggiava, la furàtola dove si consumavano anche i pasti. C’erano poi le caneve, dove il vino si vendeva al minuto e dove si poteva bere, ma non mangiare, e le taverne dove si poteva acquistare vino all’ingrosso ed assaporare i vini dolci del levante che i veneziani chiamavano “vini navigati”. Tutte queste taverne per dare rilievo al prodotto che vendevano si chiamavano Malvasie e prendevano il nome del proprietario e gestore. La Malvasia più nota è quella del Remedio, appartenente appunto al signor Remedio. La curiosità è che un tempo si pensava che il vino qui servito (malvasia garba) avesse effetti medicamentosi, capace di sollevare non solo gli animi ma portare (appunto!) rimedio a tutti i mali. Le Malvasie dovevano la propria fama al gran numero di botti che riuscivano a contenere nei loro grandi depositi: i vini più famosi erano Malvasia, Cipro, Malaga, Eleatico, Scopulo, Samos. Nelle Malvasie si incontrava la cittadinanza senza distinzione di classe sociale, distinguendosi dunque dai magazèni, ritrovi di classi meno abbienti e dai caffè che in seguito diverranno il nuovo centro della classe borghese, scardinando completamente gli introiti del vino.
La Malvasia diventa baccalà.
Le cronache veneziane antiche riportano che nell’anno 1431 un tale Pietro Querini, produttore di un’ottima Malvasia a Creta, intraprese un lungo viaggio verso le Fiandre per vendere 800 botti del suo vino e altre mercanzie orientali. Purtroppo la sua nave fu colta da tempesta e lui si ritrovò catapultato nelle isole Loften in Norvegia, dove per tradizione veniva prodotto lo stoccafisso. Il produttore veneziano riuscì a scambiare il baccalà con alcune botti di Malvasia favorendo lo sviluppo di un fiorente mercato con la Serenissima, che colse al volo l’importanza della scoperta. Infatti il nuovo prodotto si manifestò sin dall’inizio un piacevole gregario nelle diete di magro prescritte dalla religione cristiana e in poco tempo un insostituibile protagonista della cucina veneta.
Da vino a vitigno.
Ai tempi della Serenissima la malvasia aveva tre vesti: Dolce che poco incontrava i gusti dei veneziani, Tonda che rappresentava una variante con poco gusto, e Garba, dal gusto amaro e dal sapore forte. Proprio quest’ultima veniva considerata un toccasana per le malattie dello stomaco, mentre la malvasia dolce, dal costo piuttosto alto, era generalmente la preferita dal ceto abbiente che intravvedeva il mezzo per sfoggiare il proprio prestigio personale. Oggi la tipologia e la varietà di malvasie è notevolmente aumentata (19 iscritte nel registro delle varietà della vite) con origini diverse, alcune aromatiche altre no, alcune bianche, altre nere. Le malvasie in tutto il mondo sono numerose, e qualche volta addirittura la stessa vanta nomi diversi.
Per capire questo complicato intreccio di malvasie così diverse, dobbiamo ancora una volta fare un passo indietro. Nel 1564 i Turchi conquistano Creta (cfr. isola di Candia, area veneziana di maggior produzione di Malvasia) ma Venezia, pur di non rinunciare a questo fiorente mercato, sposta la produzione di questi vini dolci e aromatici altrove, adattandosi ai vitigni che trovava, naturalmente diversi dalla varietà originale. Attraverso un fenomeno di emulazione della tipologia della Malvasia, il commercio veneziano sposta la produzione nelle coste della Dalmazia, dell’Istria, e delle isole circostanti, per finire in molte zone dell’Italia. Sostanzialmente questa è la prima volta in Europa che un vino denomina diversi vitigni, senza rapporti di parentela genetica, distinti tra loro unicamente per l’aggettivazione relativa al luogo d’origine e per la caratteristica di dare un vino dolce, aromatico, alcolico. Insomma la prima volta che un vitigno prende il nome da un vino.
Potremmo dire che nel mondo delle Malvasie c’è un’unica grande origine (da Monemvasia, porto ad sola entrata nel Peloponneso) ma che successivamente, per caratteristiche uvologiche del grappolo ed aspetto varietale, si sono create due grandi famiglie: le malvasie a gusto semplice (o neutro) e le malvasie a gusto aromatico. Possiamo trovare degli esempi tra le numerose tipologie italiane elencate nel Registro nazionale della Vite.
Articolo originariamente apparso sul numero 02/20 di Vinetia Magazine.