Educational
Dalla redazione
venerdì 8 marzo 2024

Un vulcano chiamato Soave

La denominazione ha fatto scuola creando una nuova chiave di lettura per i bianchi della Penisola

Redazione


Mettete un grigio pomeriggio londinese in una delle più brillanti scuole di cultura enologica al mondo: l’Institute of Masters of Wine. E mettete un piccolo bianco italiano, uno di quelli che dieci anni fa - ma forse anche cinque - nessuno si sarebbe disturbato a studiare, figuriamoci confrontarlo con dei mostri sacri quali i cugini alsaziani di Domaine Schoffit e Domaine Zind Humbrecht. Tutto questo accadeva qualche anno fa, quando l’allora enologo del Consorzio Soave, Giovanni Ponchia, segnava l’ennesimo punto a favore della denominazione veronese, sempre più al centro dell’attenzione nazionale ed estera. Due i vini scelti per la degustazione londinese, uguali in tutto – Garganega in purezza, entrambi Soave Superiore, parzialmente macerati, sottoposti a malolattica e affinati solo in acciaio – ma con un’unica grande differenza: il suolo di provenienza, calcareo in uno e vulcanico nell’altro. Eccoli qui i due volti del Soave, le facce della stessa medaglia che hanno permesso alla denominazione di interrogarsi e capire come questa doppia personalità, lungi dall’essere un ostacolo, potesse diventare invece un punto di forza.

Volcanic Wines

Misurarsi con le differenti realtà del territorio locale: è proprio questo il punto di partenza di Volcanic Wines, la riflessione sulla produzione da suoli vulcanici promossa e sostenuta dal Consorzio del Soave. Avviata nel 2012, col tempo l’indagine ha saputo gettare lo sguardo oltre le mura del Castello di Soave, instaurando un confronto trasversale con territori simili sia nazionali che esteri. Oggi Volcanic Wines è l’associazione delle DOC di origine vulcanica di tutta Italia, un progetto che ha saputo catalizzare gli sforzi qualitativi di numerosissime realtà della Penisola – dal Bianco di Pitigliano ai vini della Tuscia, dal Lessini Durello fino alla Sicilia passando per Orvieto e Mogoro in Sardegna – che hanno la fortuna di coniugare vitigni autoctoni e suoli vulcanici. Volcanic Wines si è proposto quindi come nuova chiave di lettura per l’enologia del Belpaese, suscitando altresì nuovi interessi di mercato. Il binomio fra autoctoni e suoli di origine effusiva e piroclastica riesce infatti, soprattutto per le uve bianche, a fare la differenza quanto a intensità e complessità, sentori “minerali” – o comunque vogliamo definire quelle sensazioni che vanno dalla pietra focaia, allo zolfo al sasso bagnato – corposità e sapidità al sorso oltre che longevità nel tempo. Proprio in occasione delle esperienze “Tutti i colori del bianco”, svoltesi dal 2005 al 2008 con l’intento di valorizzare la longevità dei vini bianchi italiani, ci si è resi conto di come le espressioni enologiche più originali e ricercate da comunicatori e operatori fossero quasi sempre riconducibili a terroir di matrice vulcanica e a vitigni storicizzati nel rispettivo comprensorio. Garganega, Durella, Falanghina, Grechetto e Carricante raccontavano al meglio, anche sulla lunga distanza, come il rapporto vitigno-territorio in ambienti di origine vulcanica desse con più continuità origine a vini di grande impatto e spessore. Un riconoscimento importante che, come successo al Soave Preview 2013 con la degustazione di vecchie annate che risalivano sino ai primi anni Ottanta, ha permesso di sottolineare la tenuta del Soave sul lungo tempo, stupendo anche quella stampa estera scettica in merito alla longevità dei bianchi italiani. Alla base di questa rivalutazione, come pure dell’intero progetto Volcanic Wines, sta la volontà del Consorzio di puntare in maniera forte sul legame tra prodotto e origine, tra Soave DOCG e territorio Soave, fra “Origine, Stile, Valori”.

Gli esordi

Ma facciamo un passo indietro: quando nasce il Soave? Il primo riconoscimento del Soave come vino “tipico e pregiato” risale al 1931 venendo poi ufficializzato dalla DOC nel 1968 – ad appena cinque anni dall’entrata in vigore dello storico DPR 930 del 12 luglio 1963 con cui si istituivano le Denominazioni di Origine Controllata. La G di Garantita arriva nel 2001 – preceduta nel 1998 da quella per il Recito di Soave, a riprova del fatto che questo vino, allora come oggi e come tanti altri passiti italiani, merita fasce di mercato e spazi gastronomici maggiori, soprattutto all’interno delle nuove cucine sperimentali. I passi che permettono al Soave il salto di qualità vanno fatti risalire al lavoro di zonazione promosso dal Consorzio, un progetto che in Italia è il primo sia per ampiezza che per accuratezza. Avviato negli anni Novanta – usciva già nel 1995 una dettagliata mappa sul “Soave Classico vigneto per vigneto, Cantina per Cantina” –  l’accurato lavoro mette in mano ai produttori la chiave per il successo. Se la zonazione riveste infatti un ruolo importantissimo per la comprensione del territorio da parte degli addetti al settore, dai sommelier alla stampa, per il produttore essa diventa cruciale per capire appieno le dinamiche e, quindi, le potenzialità dei suoi vigneti.

Origine: la zonazione

Lo studio dei terreni a Soave, dopo l’iniziale pubblicazione del 1995, procede con rinnovato vigore dal 1998 in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano. Vengono così selezionate, sulla base di un’importante storicità, 14 sottozone identificando all’interno delle stesse circa 70 siti con una propria identità storica e produttiva. I rilievi continuano per cinque anni e vengono integrati da un’indagine sui suoli che ha riguardato tutto il territorio della denominazione andando a completare similari indagini svolte autonomamente da alcune cantine della zona. L’analisi rivela quattro litotipi prevalenti: la scaglia rossa, le rocce vulcaniche, i calcari nummulitici ricchi in fossili e i materiali alluvioni presenti soprattutto nei fondovalle. A queste differenze geologiche vanno aggiunte quelle pedologiche, climatiche e naturali che danno vita ad un variegatissimo ventaglio di micro realtà o, per dirla nel gergo, di Cru – un concetto che è palese agli occhi di chiunque cammini fra i filari del Soave. A partire dal 2001 questo importante lavoro viene integrato con una autonoma ricerca promossa dal Consorzio di Soave sui toponimi e le microaree storiche che produce risultati enologici notevoli e permette la pubblicazione di numerose mappe che identificano i siti di maggiore interesse, sia all’interno della zona classica che nel resto della denominazione. Un lavoro di aggiornamento costante che di volta in volta va a registrare ed evidenziare l’evoluzione qualitativa del Soave e la costante crescita delle sue aziende. Con la stampa nel 2002 dei risultati legati alla zonazione viticola, il Consorzio stabilisce un importante touchdown: dai dati emerge come in determinate aree una particolare ed attenta gestione del vigneto può dare origine a prodotti di particolare pregio, modificando quindi sostanzialmente le regole produttive. Allo stesso tempo viene pubblicata la “Carta dei Cru del Soave Classico” e, poco dopo, la “Carta dei Grandi Cru del Soave”.

Un percorso che ha portato il Consorzio, dopo vent'anni di studi su suolo, condizioni climatiche e sistemi di allevamento, a raggiungere nel 2019 il riconoscimento ufficiale nel disciplinare di produzione di 33 Unità Geografiche Aggiuntive, iniziando un nuovo capitolo nella storia moderna del Soave. Queste 33 Unità Geografiche Aggiuntive enfatizzano le diverse espressioni dei vini del Soave, che sono il risultato della combinazione tra suolo, altitudini, influenza del clima e sono esaltate dalla tecnica e dallo stile di ogni cantina.

Stile: Soave vulcanica

Fra i percorsi intrapresi va menzionato, in primis, quello di Volcanic Wines che nasce, come già accennato, come studio approfondito della realtà locale. Il progetto ha preso avvio proprio dal lavoro di zonazione che ha messo in rilievo la regione centro orientale della Lessinia dove sono evidenti vere e proprie emersioni basaltiche risalenti al periodo Terziario, ovvero circa 66 milioni di anni fa. Qui l’attività eruttiva è continuata per tre cicli geologici mentre la zona si trovava ancora sommersa dal mare; sono stati poi gli agenti esogeni, venti e precipitazioni, ad aver rimodellato il paesaggio dandogli le fattezze attuali. Sulla cartina geografica le aree di origine vulcanica vanno individuate nella zona orientale della denominazione, a est della linea che da Soave sale verso la cima del monte Bastia. Altitudini fra i 50 e i 500 metri sul livello del mare e pendenze che oscillano fra 10% e il 70% costituiscono le linee guida di queste colline che rivelano talora asprezze in grado di rendere la viticoltura davvero eroica – nel senso con cui la intende il Cervim, il Centro per la Viticoltura Montana. A differenza di altri contesti enoici di origine vulcanica, il territorio di Soave si presenta estremamente evoluto con caratteri strutturali complessi e caratterizzati da un’accentuata alterazione dei minerali. Inoltre, mentre i suoli molto antichi sono spesso caratterizzati da una certa acidità e da un basso contenuto in elementi nutritivi, nel caso del Soave riscontriamo valori di reazione (pH) praticamente neutri. In parole povere, questo indica che la lunga attività dell’uomo su questi suoli ha permesso una redistribuzione delle componenti inorganiche con estremo beneficio per le piante. I suoli vulcanici hanno inoltre agito quali custodi della ricchezza ampelografica locale, salvando dalla fillossera alcune vecchie viti a piede franco: un corredo viticolo di estremo valore per comprendere come la Garganega si adatti nel tempo al territorio divenendone un vero e proprio portavoce.

Valori: Soave primo Paesaggio Agricolo italiano

Una “valle” quella del Soave che registra fra i più alti rapporti a livello mondiale fra abitante e superficie vitata e che si estende sui comuni di Soave, Monteforte d'Alpone, San Martino Buon Albergo, Mezzane di Sotto, Roncà, Montecchia di Crosara, San Giovanni Ilarione, San Bonifacio, Cazzano di Tramigna, Colognola ai Colli, Caldiero, Illasi e Lavagno in provincia di Verona. Anche se forse, più che di valle, dovremmo parlare di un vero e proprio hortus conclusus che un’attività umana di lunghissima data ha saputo trasformare in modo profondo. Infatti, oltre ad averne cesellato l’aspetto visibile con la tipica struttura a pergola – rivelatasi utile soprattutto in un contesto di cambiamento climatico che minaccia le uve di scottature e sottopone le piante a inattesi stress idrici – l’azione umana si è spinta più in profondità, modificando i paleosuoli grazie ad una redistribuzione delle componenti minerali. Proprio questa comprovata interazione fra uomo e paesaggio ha permesso al Soave di ottenere lo scorso anno il primo riconoscimento quale Paesaggio Agricolo da parte dell’Osservatorio nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali. Ad aver reso possibile tale riconoscimento è stata non solo la storicità della viticoltura nella zona, testimoniata da rilevamenti catastali e fotografici, ma anche i progetti di sostenibilità avviati dal Consorzio tra cui la Green Label, che attesta l’incidenza sull’ambiente di tutte le fasi lavorative, e il sostegno di modus operandi quali l’integrato, il biologico e il biodinamico in grado di preservare il Vigneto Soave oggi e proiettarlo al contempo verso nuovi orizzonti futuri.

 

 

Articolo a cura di Irene Graziotto

articoli correlati
Benvenuti nel Pojanistan
giovedì 11 aprile
Il Veneto attraverso gli occhi di Andrea Pennacchi
La colomba pasquale
mercoledì 13 marzo
Un dolce tra miti e leggende
Accademia Vinetia
venerdì 9 febbraio
La scuola concorsi di AIS Veneto
Salice Salentino
sabato 28 ottobre
Campione di versatilità