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Dalla redazione
domenica 3 maggio 2020

Calice&Penna

Le sfumature di Saint-Emilion

Marco Tinello


Calice & Penna è la nuova rubrica di AIS Veneto dove pubblichiamo i contributi dei nostri soci. Se ti piace scrivere e vuoi cimentarti con un racconto su un vino che ti ha colpito, su un viaggio o su una tua personale wine experience, contattaci su [email protected] e riceverai indicazioni sul format richiesto. La redazione provvederà alla selezione per la pubblicazione. 

 

L’arrivo a Saint-Emilion in treno ha un fascino del tutto particolare, è più rilassante dell’auto, e dai finestrini si gode di un paesaggio pittoresco al quale ormai mi ci sono affezionato, la passeggiata dalla stazione fino al centro del paese attraversa secoli di storia e proprio Chateau Ausone dall’alto della sua collina ci da il benvenuto.

Tutta colpa della  prima volta

Ricordo bene che esattamente il maggio di 12 anni fa per la prima volta misi piede in terra d’Aquitania, l’organizzazione del viaggio da parte di AIS Padova fu ottima, la compagnia pure e gli appuntamenti che avevamo con le cantine erano di quelli da perderci il sonno la notte, saremo stati ospiti dai vari Chateau Latour, Margaux, Mouton-Rothschild, La Conseillante, Cheval Blanc, Yquem, lista che prevedeva anche Haut Brion, ma un ritardo aereo ci fece perdere il tanto agognato appuntamento, cosa alla quale però rimediai qualche anno dopo, ovviamente con gli interessi. Alla fine di quel viaggio, capii che non avevo capito poi molto di quel mondo, anzi, forse poco niente suonava più corretto, ( specialmente sponda Libournais ) quindi la cosa andava approfondita, e di molto. Fu cosi che da quel giorno mi promisi di tornarci, tant’è che dopo alcuni anni ebbi diverse altre occasioni di rimetterci piede, l’ultima delle quali proprio lo scorso maggio. Ora, grazie ad una serie di situazioni professionali, ho avuto l’occasione di visitare molte cantine del Bordelais, sia sponda Medoc che Libournais, così come di degustarne i vini, dall’annata corrente fino agli anni 50 ( e li la cosa fu interessante )  tanto che ora posso tranquillamente dire che se ciascuno di noi vuole ritrovarsi in un vino, il mio risiede dalle parti di Saint-Emilion, poiché all’aristocratica ed incravattata Rive Gauche, che comunque raggiunge livelli qualitativi di finezza ed equilibrio pressochè inimmaginabili da qualsiasi altra parte al mondo, preferisco la più “umile” e  piacevolmente rilassata Rive Droite, dove eleggo proprio Saint-Emilion mia immaginaria residenza.

Saint-Emilion dal 13° secolo ad oggi

Ed è qui sulla riva destra della Dordogna a circa 40 km ad est di Bordeaux che vengono prodotti alcuni dei vini rossi più celebri al mondo, grazie ad una serie di fattori che poggiano le radici molto in là nei secoli. Già, poiché fu a partire sin dal lontano 1289 che Edoardo 1° Re d’Inghilterra delimitò la giurisdizione di Saint-Emilion ( composta allora da 9 parrocchie situate nelle colline migliori  )  in quell’insieme di  “Village” che da li in poi darà il nome al vino li prodotto, la cui successiva gloria viticola fu dovuta proprio e soprattutto grazie a quelli ottenuti dalle “Cotes” ossia pendii, dai Plateau, terreni pianeggianti in altura ed in alcuni rari casi dalle “Graves” cioè dai terreni più bassi ma ciottolosi e drenanti.  Il villaggio, oggi patrimonio Unesco, è uno scrigno medievale, le cui pittoresche case in pietra situate in un semicerchio collinare sono visitate da centinaia di migliaia di turisti ogni anno e se la cosa può spaventarvi un pò, la soluzione per evitare l’affollamento è quella di soggiornarci per qualche giorno, così mentre alla mattina si potranno visitare vigneti e cantine, nel tardo pomeriggio ritornando si scoprirà un altro mondo, molto più silenzioso, così da godersi panorami, viottoli, ristoranti ed enoteche in assoluta tranquillità.

Vitigni, suoli e  vini

I 5500 ettari circa dell’AOC, suddivisi in 9 comuni, sono coltivati per circa ¾ a Merlot,  a seguire dal Cabernet Franc ( localmente chiamato  Bouchet ) ed in minima parte dal Cabernet Sauvignon, va detto anche che esistono seppure in proporzione simbolica Malbec ( conosciuto anche con il nome di Pressac ) ed ancor meno Carmenere, i cui vini ottenuti hanno caratteristiche singolari sia in base all’esposizione ma soprattutto al tipo di suolo. Questi ultimi sono suddivisi in 4 zone, gli alti plateau di circa 90 mt, dal suolo calcareo il quale darà vita a vini strutturati, tannici e potenti, alle cotes dal suolo prevalentemente di ghiaione calcareo, a volte stratificato, talvolta misto a piccole infiltrazioni di sabbie in profondità con lievi spolverate d’argilla rossa o scura, dove troveremo vini spesso più equilibrati e considerati i migliori, a seguire i pieds de cotes, ( vigneti che stanno tra la fine delle pianure e valli e l’inizio delle cotes ) dai suoli argillo-silicei, sabbiosi e con presenza di limo i cui vini sono spesso semplici ma abbastanza strutturati, talvolta impiegati in assemblaggi dove viene richiesta un po di struttura, ed infine valli e pianure i cui suoli alluvionali sono per lo più composti da argille, sabbie silicee e ciottoli, ottenendovi vini spesso poco strutturati, semplici destinati al rapido consumo.

Le “Graves” di Saint-Emilion, l’eccezione che conferma la regola

Se finora si è visto che i vini migliori provengono a ragione dalle cotes e dai plateau, troviamo poi in uno dei vigneti più pianeggianti di tutta l’AOC, ( 39 ettari di vigne ) dove il dislivello tra la parte alta e bassa è di qualche metro… Chateau Cheval Blanc. Qui di colline nemmeno l’ombra, la più vicina sta 4 km a sud ed il perché questo vino sia cosi speciale è presto detto, il suolo in cui sorge è semplicemente un “isola” di ciottoli calcarei ( Graves ) profondi presenti appena sotto la poca argilla che li ricopre, determinando così un una situazione particolare nel 60% del vigneto, situazione ideale al Cabernet Franc, dando vita così ad un vino unico ed indimenticabile.  La storia del suolo però mi incuriosisce e visto che l’acquisto di tale vino è abbastanza complicato, mi avventuro alla ricerca di capire di chi siano quelle vigne tutte vicinissime ed attorno alla tenuta, poiché della qualità del più blasonato e vicino Figeac ne ero già a conoscenza nonché della storia di gran parte del suo vigneto oggi proprietà proprio di quel nobile Cheval, quindi la speranza è di trovare un gran vino spendendo un po’ meno sia dell’uno che dell’altro, questo mi da fiducia e la ricerca porta al vicino e seminascosto Chateau la Dominique. La faccio breve, il vino è interessante, buono e costa il giusto, ma è anni luce dal poter competere con i vicini a causa proprio dello scarseggiare dei ciottoli nel sottosuolo a favore dell’argilla, quindi la speranza svanisce e passo così al tetto della cantina dove si trova il ristorante che, oltre a mangiar bene, dalla favolosa “Terrasse Rouge” si può godere della vista su tetto, cantina e vigne di Cheval Blanc, magari sorseggiando uno di quegli Armagnac di 50 anni ed oltre presenti in carta.

La classificazione e le sue eccezioni, il tribunale sentenzia il proverbio illumina.

Nata nel 1954 con l’intento di determinarne la qualità ed entrata in vigore nel 1956,  la classificazione dei vini, che nel frattempo è stata rivista 6 volte l’ultima delle quali il 6 settembre 2012 a causa di un contenzioso legale non ancora del tutto digerito, oggi suddivide i vini in 4 classi, la più semplice Saint-Emilion, i cui vini sono da bersi entro un paio d’anni, in Saint-Emilion Grand Cru, ed attenzione perché in questa tipologia la menzione “Grand Cru”  spesso è fuorviante per il neofita, poiché sono semplicemente vini un po’ più strutturati dei precedenti e nient’altro, da bersi entro i 5 anni circa, poi in Saint-Emilion Grand Cru Classé, e questi sono vini decisamente ben più interessanti, piacevoli dai 5 anni in poi e spesso abbordabili in termini di prezzo, tra i quali segnalo Bellefont-Belcier, Dassault, La Dominique,  Faugeres, Grand Corbin D’Espagne e Chateau de Pressac, seguono poi 18 Saint-Emilion Premier Grand Cru Classè di cui 4,  Ausone, Cheval Blanc, Pavie e Angelus, in classe “A” ed altri 14 in classe”B” dei quali Figeac, Clos Fourtet, Canon, Trottevieille, La Mondotte, Troplong Mondot, Pavie Macquin e Valandraud li considero personalmente i migliori. Ecco però che l’intromissione burocratica mischia le carte, fa nascere nuovi vini come il fantastico  “Vin de Garage”  La Mondotte del Conte Von Neipperg, poiché gli fu vietato dall’organo di controllo di assemblare le uve di quei 4,5 ettari ultimamente acquistati, al suo Premier Grand Cru Canon-La-Gaffeliere ( talvolta qualitativamente al di sotto e bisognoso di rinforzo ) dando vita quindi ad un nuovo Chateau,  così come l’antico Chateau de Pressac il quale non ha ottenuto lo status di Premier solamente per una questione di prezzo d’uscita troppo basso !! ( il prezzo è uno dei fattori determinanti della classificazione ) o al grandissimo e spettacolare Terte Roteboeuf di Francois Mitjaville che per solidarietà al conte ma soprattutto in polemica con l’istituto di controllo ( che sia perché qualche “Angelo” ha scalato le classifiche arrivando in cima alla vetta con qualche spinta ? ) lo declassa in semplice Saint-Emilion Grand Cru,  Quindi convengo con un proverbio francese sentito da un produttore che dice : Soit vous aimez le vin, soit vous ne l’aimez pas. Le reste c’est du bla, bla, bla. Capito come ?!

Incontri di viaggio, tra persone e cantine futuristiche

Come in tutti i viaggi spesso si fanno incontri che poi rimarranno ben ancorati nella memoria aiutando sia a capire territorio e vini, ma anche usi e costumi della zona, e volendo quindi ricordarne due, prendo quelli agli antipodi tra di loro, il primo, Jean Luc Thunevin ( quello del proverbio ) fondatore nel 1991 del primo Vin de Garage della storia,  incontrato ovviamente nel suo garage alle prese con il primo ossigenatore meccanico per vini che avessi mai visto, simpaticamente mi spiegò sia la filosofia di tale movimento nonché il funzionamento del tale marchingegno con un Valandraud ’93 e devo dire che funzionava bene e poi Gerard Perse, alle redini dal 1998 dell’imponente Chateau Pavie il quale da grande visionario ed amante del bien vivre, racconta di quando acquistò l’intera vecchia stazione di Bordeaux ricostruendone parte all’interno della cantina per ricordare il nonno emigrante,  si nota poi di come ha arredato tutta la cantina con classe, stile e gusto, il tutto con un buon Pavie 2006 nel bicchiere. Nel mezzo tra i due, il mondo, sia filosofico che tecnico, accomunato però dall’idea di fare il miglior vino rappresentativo del proprio “cru”. Per quanto riguarda invece le cantine, il Medoc è ad oggi irraggiungibile in termini di imponenza, talvolta sfacciata, però anche da queste parti ormai la modernità delle costruzioni sta prendendo sempre più piede a scapito della vecchia pietra calcarea, Cheval Blanc ha fatto da apripista con il suo “disco volante” disegnato da Christian de Portzampat nel 2011, La Dominique segue con la sua forma da atelier Ferrari rosso bordeaux,  Faugeres di Silvio Denz ( quello di Lalique per intenderci ) con la cattedralesca torre disegnata da Mario Botta, concludendo poi con Figeac che con l’apertura della nuova cantina prevista a settembre promette di stupire ma volendo fare un tuffo nel passato, ecco che Clos Fourtet è pressochè un salto nella storia grazie alle sue inimitabili cantine sotterranee elette non a caso come le più belle dell’intero comprensorio.

Sulla via del ritorno con tante grazie al Mancester City pensando a Pomerol

Il viaggio arriva alla fine, i poco meno di 2 chilometri che ci separano da Place Pierre Meyrat alla stazione scorrono via facilmente lungo la D122 e mentre li percorro a piedi il pensiero è quello di fare una sorta di riassunto andando ad aggiornare conoscenze ed esperienze sensoriali fatte, le persone incontrate, e li  il pensiero però non può che andare che al giorno prima quando passando a salutare il mio “spacciatore enoico” Cyril, tra una chiacchera e l’altra con l’ultima lacrima di Tertre-Roteboeuf 2005 nel bicchiere, (eletto a vino di quel viaggio assieme ai due Chanel Estates, Canon e Rauzan-Ségla 2016 ) ecco comparire dalle scale del privé sotterraneo un’allegra e probabilmente agiata brigata inglese di 9 personaggi con in testa il socio di Cyril, tutti festosi per la vittoria della Premier League del Manchester City, ( il socio secondo me era festante per le bottiglie vendute )  i quali pensarono bene di brindare con un Petrus 2004. L’ormai vuoto negozio stava per chiudere, i bicchieri rimasti per uno strano e misterioso caso erano proprio 11, uno sguardo, due chiacchere in un mix Franco-Anglo-Veneto e non so il perché ma mi ritrovo il calice in mano con il suddetto Merlot  all’interno, e così brindando a Saint-Emilion, a Guardiola e la sua truppa penso che nonostante tutto dovrò rimediare al più presto facendo tappa nel paese che non c’è, Pomerol, ovviamente arrivandoci in treno da Saint-Emilion.

 

Qualche consiglio di viaggio :

l’aereo è ovviamente il mezzo più comodo per raggiungere la zona, da Venezia e Bologna voli giornalieri di Easyjet, Ryanair e Volotea collegano l’aeroporto di Bordeaux, Air France invece fa scalo a Parigi Charles de Gaulle. Una volta arrivati all’aeroporto di Bordeaux, sono circa 55 km. L’auto merita un discorso a parte, i 1200 km via Lione - Clermont-Ferrand o i 1350 via Marsiglia –  Tolosa sono un bel po’ e richiedono qualche giorno in più a disposizione. Per arrivare poi a Saint-Emilion in treno, alla Gare Saint-Jean di Bordeaux i collegamenti di OUI SNCF via Bergerac – Sarlat impiegano circa 1 ora per arrivare a  destinazione.

 

Pernottamento :

Saint-Emilion è piccola ma ha buona capacità recettiva specialmente nei B&B i quali permettono di vivere al meglio l’esperienza, il sito che allego sotto permettere di scegliere la soluzione più appropriata, ricordo che la sera il paese non offre molto.

 

Indirizzi utili : www.ugcb.netwww.saint-emilion-tourisme.comwww.bordeaux.com

 

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